Piogge, fiumi, falde e risorse idriche utilizzabili in Italia
In termini di precipitazioni, le acque in Italia in un anno medio sono decisamente abbondanti: 296 miliardi di metri cubi, che al netto dell’evaporazione vanno a formare 155 miliardi di metri cubi di deflusso superficiale (corsi d’acqua) e 13 miliardi di metri cubi di risorse sotterranee. Secondo l’Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA)[1], quindi, il totale delle risorse “rinnovabili” (che si rinnovano ogni anno) ammonterebbe a 168 miliardi di metri cubi[2], che corrispondono a circa 2.800 metri cubi per abitante, un dato superiore a paesi come la Gran Bretagna o la Germania.
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Naturalmente però non tutti i deflussi superficiali e sotterranei sono utilizzabili: se si escludono i bacini alpini, gran parte delle precipitazioni avvengono nel periodo che va da ottobre a marzo. Per utilizzare questo deflusso durante il corso dell’anno – e in particolare nel periodo estivo quando si concentrano gli usi irrigui – sono necessari volumi di “regolazione” che permettano di accumulare le acque quando le portate sono abbondanti ed utilizzarle nella stagione secca. Secondo l’IRSA, grazie alla capacità di regolazione degli invasi realizzati o in costruzione in Italia, all’inizio del 2000 le risorse disponibili da deflussi superficiali ammontano a circa 40 miliardi di metri cubi, cui si aggiungono 12 miliardi di metri cubi di acque sotterranee[3].
La ripartizione territoriale delle risorse disponibili è rappresentata nella tabella che segue, da cui si nota come il bacino del Po e i bacini di Nord Est (Adige, Brenta, Tagliamento, Isonzo, oltre ad alcuni bacini minori) siano le aree dove si concentra gran parte della disponibilità di risorse. Nel Mezzogiorno i territori con maggiori risorse disponibili sono l’Abruzzo-Molise e la Calabria-Lucania. Ma forse il dato più interessante è quello della disponibilità pro capite, da cui emerge che diverse regioni Meridionali hanno disponibilità idriche ben superiori alle regioni del Centro e alla Liguria: oltre al ricco sistema idrico di Abruzzo-Molise (con disponibilità che si avvicinano ai 2.000 m3/abitante/anno, dotazione superiore alle regioni padane) anche la Calabria/Lucania e la Sardegna, grazie alla notevole capacità di regolazione degli invasi e alla scarsa popolazione, hanno una dotazione idrica superiore alla media nazionale. Puglia, Campania e Sicilia, hanno, invece, una disponibilità di risorse inferiore ai 500 m3/abitante/anno, analogamente alla Toscana e alle regioni del Bacino del Tevere.
Compartimento | Risorse disponibili (milioni di m3/anno) | Risorse disponibili pro/capite
(m3/abitante/anno) |
Bacino del Po | 20.586 | 1.334 |
Nord Est | 12.660 | 1.975 |
Liguria | 679 | 377 |
Romagna-Marche | 1.615 | 478 |
Toscana | 983 | 275 |
Lazio-Umbria | 2.525 | 437 |
Abruzzo-Molise | 2.702 | 1.755 |
Puglia | 848 | 220 |
Campania | 2.166 | 400 |
Calabria-Lucania | 3.109 | 1.180 |
Sicilia | 1.889 | 388 |
Sardegna | 2.058 | 1.298 |
Italia | 51.819 | 921 |
Risorse idriche disponibili in Italia, per compartimento idrografico (Fonte: Irsa-CNR 1999)
La situazione descritta nella tabella sopra non restituisce una fotografia delle reali disponibilità di risorse sul territorio, perché non tiene conto dei trasferimenti di risorse tra compartimenti idrografici. Le opere idrauliche realizzate negli scorsi decenni hanno permesso non solo di regolare il deflusso, aumentando così le disponibilità, ma anche una redistribuzione delle risorse: la Puglia, ad esempio, una delle regioni più povere d’acqua, può contare su ingenti trasferimenti dalla Lucania.
I dati riportati ci dicono, in estrema sintesi, che anche le regioni Italiane più povere d’acqua possono contare su una disponibilità idrica pro capite di almeno 400 m3 all’anno, un valore non elevatissimo ma superiore di almeno 10 volte rispetto a Paesi vicini, come quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
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I consumi idrici in Italia
Come per le disponibilità, anche i dati relativi ai prelievi e consumi idrici si basano largamente su stime e non su misure dei volumi effettivamente prelevati e consumati. Infatti, nonostante già da tempo (D.Lgs. 152/99), sia stato introdotto l’obbligo, per i titolari di concessioni di derivazione di acque superficiali o di estrazione di acque sotterranee, di misurare le effettive portate prelevate, tale norma è ancora largamente inapplicata. L’unico settore per cui si dispone di dati affidabili è quello civile, dove i consumi vengono effettivamente misurati dai gestori e il quadro nazionale viene periodicamente aggiornato grazie alle indagini svolte dall’ISTAT.
Il mistero dei consumi irrigui in Italia
I volumi annui di acqua usata in agricoltura costituisce uno dei misteri più fitti dell’analisi ambientale del nostro Paese. Le prime stime sui consumi irrigui in Italia risalgono alla Conferenza Nazionale delle Acque svoltasi a Roma del 1969. Gli atti della Conferenza stimavano i prelievi irrigui nazionali nell’ordine dei 25 miliardi di metri cubi all’anno, dato confermato nel 1989, quando le stime della Conferenza delle Acque vennero aggiornate.
Nel 1999, l’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR (IRSA CNR) rivedeva la stima dei prelievi irrigui nazionali in circa 20 miliardi di metri cubi annui. Questa correzione si basava su valutazioni di diversa natura, ma soprattutto partiva dalla constatazione che era in corso “una stabile riduzione della superficie irrigata e una riduzione dei fabbisogni unitari”: la superficie irrigata a livello nazionale, che è cresciuta continuamente fino al 1990, quando ha raggiunto quasi i 2.900.000 di ettari, si è poi ridotta significativamente: nel 2010 – ultimo anno disponibile del censimento dell’Agricoltura – la superficie irrigata è stimata in 2,42 milioni di ettari.
All’inizio del nuovo millennio, dunque, le stime sui prelievi irrigui erano di circa 20 miliardi di metri cubi annui (vedi tabella seguente).
Tabella 1– Prelievi idrici in Italia nel 1999 (milioni di m3/anno)
Civili | Industriali | Irrigui | Energia | Totale | |
Nord Ovest | 2.268 | 3.520 | 8.193 | 1.863 | 15.844 |
Nord Est | 1.453 | 1.648 | 5.277 | 2.538 | 10.915 |
Centro | 1.618 | 1.482 | 970 | 72 | 4.142 |
Sud | 1.803 | 879 | 3.506 | 36 | 6.223 |
Isole | 798 | 457 | 2.191 | – | 3.447 |
Italia | 7.940 | 7.986 | 20.136 | 4.509 | 40.571 |
Fonte: IRSA-CNR Un futuro per l’acqua in Italia. Bozza per la discussione nel corso del Convegno IRSA-30 anni. Roma 24 Giugno 1999
Nel 2015 l’Autorità di Bacino del Fiume Po nella valutazione ambientale strategica che accompagna il proprio Piano di Gestione scrive: “dalle stime effettuate attraverso le simulazioni e dall’analisi delle crisi idriche recentemente occorse, è emerso che se la disponibilità naturale scende, annualmente, considerevolmente al di sotto dei 18 miliardi di m3, il sistema agricolo comincia a sostenere degli impatti che, a fronte di riduzioni via via più consistenti, possono generare vere e proprie crisi del settore e conflitti per l’uso della risorsa con costi economici e danni che vengono sopportati da qualcuna delle componenti produttive, sociali o ambientali”. Se il solo bacino del Po deve prelevare 18 miliardi di metri cubi annui da destinare all’irrigazione per evitare crisi del sistema agricolo, risulta evidente che l’ipotesi di 20 miliardi annui a scala nazionale è largamente sottostimata ed una stima credibile sarebbe intorno ai 30 miliardi di metri cubi annui, superiore anche alla prima stima effettuata nel 1969, cosa peraltro ragionevole, considerata la crescita notevole della superficie irrigata dal 1970 ad oggi.
Ma l’incertezza sui numeri non finisce qui. Oggi, il sito dell’ISTAT che mette a disposizione i dati del Censimento dell’Agricoltura 2010 (http://dati-censimentoagricoltura.istat.it), sostiene che per irrigare i 2,42 milioni di ettari di superficie irrigata nazionale si impiegano meno di 11,1 miliardi di metri cubi all’anno: in pratica, a 50 anni dalle Conferenza Nazionale sulle Acque, non sappiamo ancora se per irrigare le produzioni agricole italiane ci servono 10 o 30 miliardi di metri cubi!
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I consumi industriali ed energetici
Quanto ai consumi per uso industriale, pur in assenza di dati certi per il territorio nazionale italiano, è opinione condivisa che anche in Italia, come nel resto d’Europa[4], vi sia una progressiva riduzione dei consumi idrici del settore, dovuta sia al miglioramento delle tecnologie, sia alla delocalizzazione all’estero della produzione industriale più idroesigente. Tale tendenza fa presupporre che oggi i consumi industriali siano ormai inferiori agli 8 miliardi di metri cubi/anno stimati dal Rapporto IRSA, con una tendenza alla ulteriore contrazione.
Il valore di 4,5 miliardi di metri cubi/anno destinati agli usi energetici si basa su una stima molto grossolana, ad ogni modo gli eventuali errori anche consistenti non modificherebbero significativamente il quadro complessivo.
I consumi civili
Il dato sui consumi civili riportati in Tabella sopra è quello contenuto nel rapporto IRSA 1999, riferito agli anni ’90. Gli aggiornamenti ISTAT, oggi disponibili fino al 2018, permettono alcune osservazioni sulle tendenze più recenti.
Valori assoluti | Valori pro capite |
Prelievi e consumi ad uso civile in Italia. Fonte: elaborazioni su dati Istat.
La crescita continua di prelievi idrici, che proseguiva da decenni, si è finalmente arrestata nel 2015, ma i consumi idrici (l’acqua erogata, quindi effettivamente utilizzata) hanno cominciato a ridursi già alla fine del secolo scorso. Ciononostante i consumi idrici di acqua potabile per uso civile in Italia restano i più elevati d’Europa.
Consumi ad uso civile in Europa. Fonte: Fondazione UTILITATIS. Blue Book 2022
Sempre molto elevata, inoltre, è la differenza tra acqua prelevata ed acqua erogata: le cosiddette “perdite” che costituiscono ancora circa il 40% delle risorse. In ogni caso la differenza tra acqua prelevata ed erogata comprende sia le perdite o sfiori dalla rete di distribuzione (perdite reali), sia i prelievi abusivi e gli errori negli strumenti di misura e nella contabilizzazione (perdite apparenti); questi ultimi rappresentano non più del 5% e spesso si aggirano sul 3%. Le maggiori dispersioni totali e le dispersioni di rete di acqua ad uso potabile, si registrano nelle regioni del Sud, dove per erogare 100 litri di acqua è necessario prelevarne quasi 200.
Dai dati riportati la situazione italiana sembrerebbe in ordine: con circa 52 miliardi di metri cubi all’anno di risorse disponibili e un consumo annuo di circa 40 miliardi di metri cubi, riusciamo a garantire i fabbisogni con un cospicuo margine di 12 miliardi di metri cubi all’anno. Nessun problema allora? Purtroppo, come vedremo nel prossimo paragrafo, le cose non stano così. Se il prelievo di 40 miliardi di metri cubi sembra teoricamente compatibile con una disponibilità di 52, non è altrettanto compatibile con la qualità delle acque dei nostri fiumi e falde. In altre parole, la stima delle risorse utilizzabili non tiene conto della necessità di mantenere una “circolazione idrica naturale”: nelle stagioni critiche, le portate dei nostri fiumi e falde tendono ad essere quasi completamente sfruttate e non rimane un deflusso naturale sufficiente, non solo a mantenere vivo l’ecosistema – nel caso dei corsi d’acqua – ma nemmeno a diluire gli inquinanti che, seppur trattati dai depuratori, è necessario scaricare.
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Perché è importante ridurre i consumi civili
Ma se nei Paesi a clima mediterraneo come l’Italia gran parte del consumo di risorse idriche è dovuto all’irrigazione, perché è importante ridurre i consumi civili? Innanzitutto perché l’acqua per gli usi civili rappresenta una quota minore dei consumi idrici – in Italia e negli altri paesi che usano molta acqua per irrigazione è circa il 20% – ma è quella che richiede la qualità migliore, qualità che in genere hanno solo le acque sotterranee o di sorgente, e comporta anche i maggiori costi per l’approvvigionamento, la gestione, i trattamenti.
Ma c’è un altro importante motivo per razionalizzare i consumi di acqua potabile: l’acqua usata nelle nostre case è spesso ancora la principale causa dell’inquinamento dei fiumi e delle falde, anche quando riusciamo a farla passare attraverso un depuratore prima di scaricarla. A partire dagli anni ’60 in tutti i paesi occidentali sono stati avviati importanti piani di infrastrutturazione per la depurazione delle acque di scarico: oggi, in questi paesi, percentuali elevate (in genere superiori all’70% con punte prossime al 100%) della popolazione sono allacciate alla rete fognaria e servite da un depuratore. Questo ha permesso una significativa riduzione dell’inquinamento, ma non ha risolto definitivamente i problemi: per molti motivi, i nostri fiumi e le nostre falde rimangono inquinate, a volte a livelli che ne rendono le acque praticamente inutilizzabili, oltre alle evidenti ripercussioni sulla qualità degli ecosistemi che ricevono gli inquinanti. Ridurre i consumi di acqua potabile significa ridurre gli scarichi di acque depurate e – a parità di concentrazione degli scarichi – ridurre il carico inquinante verso le acque superficiali.
Insomma il fatto che in Italia consumiamo tanta acqua potabile non solo riduce la possibilità di destinare quest’acqua ad altri usi o rilasciarla al suo naturale circolazione, ma contribuisce all’inquinamento di fiumi e falde.
Effetti del cambiamento climatico sulle acque
Il cambiamento climatico sta già provocando mutazioni nei tempi e nel luogo delle precipitazioni. In molte regioni del mondo precipitazioni stanno diventando più variabili e più incerte, portando a inondazioni e siccità più frequenti e più intense. Anche in Italia, dove con un amento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050, si registrerà una diminuzione delle precipitazioni estive del Centro e del Sud e un incremento di eventi legati a precipitazioni intense al Nord. Quali saranno le conseguenze sulla risorsa idrica? Secondo la Fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), per le aree urbane, ad eccezioni di alcune zone del Veneto e della Toscana e delle zone alpine, la riduzione delle precipitazioni determinerà situazioni di siccità e scarsità idrica più frequenti. “L’Italia meridionale subirà in modo particolare una riduzione delle prestazioni dei bacini idrici. Si è visto come la maggior causa dell’insufficienza dei sistemi in Sud Italia sia legata alla riduzione delle precipitazioni disponibili piuttosto che alla capacità del serbatoio, problema principale invece per i sistemi analizzati in Centro Italia”, si legge nel Rapporto 2020 del Cmcc. L’impatto del clima cambierà la vita delle città italiane: Napoli, Bologna, Milano e Roma fanno registrare un trend di crescita del numero di giorni molto caldi. In alcune zone d’Italia, è in corso un aumento dei massimi di precipitazione, nel periodo da novembre a marzo. Le città che non adottano misure per salvaguardare la propria fornitura d’acqua potrebbero avere importanti ripercussioni.
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Note
[1] IRSA-CNR Un futuro per l’acqua in Italia. Documento redatto per il Convegno IRSA-30 anni. Roma 24 Giugno 1999. Il rapporto IRSA 1999, costituisce a tutt’oggi il quadro informativo più recente sulle disponibilità e sui consumi, ad eccezione del comparto civile per cui – come vedremo – sono disponibili dati ISTAT più recenti.
[2] Il dato IRSA è leggermente più basso rispetto a quello fornito da altre fonti: ad es. Massarutto nel capitolo dedicato all’Italia di Le politiche dell’Acqua in Europa (A cura di B.Barraqué. Franco Angeli 1999) fornisce un dato di 187 miliardi di metri cubi, mentre il database UNEP (http://geodata.grid.unep.ch/results.php) parla di 191,3 miliardi di metri cubi. Si tratta comunque di stime che non si discostano molto l’una dall’altra.
[3] Le acque sotterranee sono infatti “naturalmente” regolate dagli acquiferi che fungono da grandi serbatoi, per cui è possibile sfruttarle per la quasi totalità (12 su 13 miliardi di metri cubi che costituiscono il totale delle risorse sotterranee).
[4] La tendenza alla riduzione dei consumi idrici industriali in tutta Europa è confermata dal confronto 1990 – 2005 dei dati dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA, Core Set Indicator CSI 18, based on data from Eurostat data table: Annual water abstraction by source and by sector).